Lanificio Leo, l’imperfezione come valore
La cultura come leva imprenditoriale strategica
A 770 metri dal livello del mare, dolcemente posizionato nella valle custodita dal monte Reventino, il borgo di Soveria Mannelli custodisce uno degli accessi alla Sila, tra la provincia di Catanzaro e quella di Cosenza. Un mondo intero al microscopio, un territorio forte, dalla geografia irregolare, dove pace e semplicità rurale sono un conforto dell’anima.
In sintonia con il paesaggio di una Calabria generosa, il Lanificio Leo intreccia la sua vita con quella degli abitanti della zona, delle loro abitudini antiche e della loro operosità. Emilio Salvatore Leo, architetto e titolare del Lanificio Leo, mi accompagna in un viaggio a ritroso nel tempo, nel ’800 italiano.
Dopo l’articolo sull’arte orafa abruzzese un’altra meravigliosa scoperta per Borghi Magazine, la rivista dei Borghi più Belli d’Italia, associazione nata a tutela del patrimonio culturale, artistico e architettonico dei nostri meravigliosi borghi.
Il potenziale mercato nella Calabria del 1800
Il bisnonno di Emilio capì che nel proprio territorio poteva esserci un potenziale di mercato: una zona rurale fredda, le case non riscaldate, gli indumenti di lana necessari per sopravvivere al clima, la presenza massiccia di pecore Gentili (tipo merinos), razze che fino agli anni ‘70 sono le predominanti in Italia.
Leo, che aveva visto gli impianti costruiti dai Borbone nel salernitano nella prima metà del ’800, decide, con spirito imprenditoriale, di realizzare in Calabria il primo impianto industriale di trasformazione della lana. Una vera e propria economia di scala nel territorio. Il parallelo è quello dei frantoi: abbondante materia prima, quasi la totalità della comunità sfrutta questa risorsa e qualcuno fornisce un servizio meccanico per la produzione.
Una realtà industriale che vive nel territorio e per il territorio
Sembra quasi di vederli i mandriani arrivare con la lana, aspettare la trasformazione all’interno della fabbrica e riportare a casa il filo per produrre in proprio. A volte qualcuno lascia la lana e prende un semilavorato, una coperta, un po’ di tessuto da cucire e paga la differenza. Una grande realtà industriale del territorio che vive solo nel territorio e per il territorio.
Un mercato chiuso che non ha bisogno di esportazioni. Una grande realtà industriale della Calabria il Lanificio Leo, con uno stabilimento di più 1000 mq e quasi cinquanta operai: una piccola FIAT Calabrese, con tanto di sirena che scandisce il tempo di tutto il paese.
“Una piccola FIAT Calabrese, con tanto di sirena che scandisce il tempo di tutto il paese.”
Emilio Salvatore Leo
Lanificio Leo, l’imperfezione come valore
La cultura come leva imprenditoriale strategica
Poi il mondo cambia. Negli anni ‘50 e ‘60 nel territorio “silano” si contano innumerevoli realtà che potrebbero dare vita a un distretto industriale. Ma il governo centrale sceglie le razze ovine per l’industria casearia, dando precedenza alla razza sarda, una pecora con buona qualità del latte e una qualità di lana inferiore. L’avvento di nuove merci, l’aumentata capacità di spesa, la mancanza di scolarizzazione e di managerialità fanno il resto.
Negli anni ’70 il Lanificio Leo, una realtà longeva con più di 100 anni alle spalle, azzera la produzione mandando in pensione gli ultimi operai. L’azienda non ha mai chiuso veramente fino a quando il padre di Emilio, Peppino, (oggi ha 96 anni) rileva lo stabile e i macchinari dal resto della famiglia e lancia un SOS.
L’agglomerato di ferraglia ottocentesca ha un grande valore
Lui, Emilio Salvatore Leo, è figlio unico: Emilio era il nome del nonno, Salvatore quello che lo identifica: nomen omen dicono i latini. Studia architettura e invece di andare via intuisce che l’agglomerato di ferraglia ottocentesca, quelle macchine affascinanti che ancora funzionano, sono un patrimonio industriale da valorizzare. La fondazione dell’azienda è il grande valore per tutti, un valore dal quale partire.
Durante i suoi studi Emilio organizza per 10 anni, all’interno del Lanificio Leo, un festival di arte contemporanea, creando così un meccanismo di connessione con il mondo. Intuisce che la strada per la rivalutazione è aprire di nuovo la fabbrica alla gente.
Emilio Salvatore Leo crea un meccanismo ibrido tra cultura e produzione.
La cultura come leva strategica imprenditoriale per riportare la fabbrica al centro dell’attenzione del territorio. Il meccanismo culturale funziona: si creano i presupposti per rimettere in piedi l’azienda. Nel 2008 Emilio Salvatore Leo inizia una piccola produzione utilizzando, per alcune lavorazioni, le vecchie macchine. Le altre non possono essere utilizzate (non adeguate alla normativa vigente) e diventano un bellissimo museo.
Il Lanificio Leo, utilizzando il suo storytelling come elemento di marketing, è passato da prodotto territoriale a una bellissima storia di brand. La storia del Lanificio Leo e la Calabria girano il mondo. Se non avessero iniziato così non ci sarebbe stata nessuna storia da raccontare perché i numeri, purtroppo, vengono prima dei sogni.
“La rivoluzione deve avvenire nella testa della gente.”
Emilio Salvatore Leo
Lanificio Leo, l’imperfezione come valore
La cultura come leva imprenditoriale strategica
E per un settore così, mortificato dalla globalizzazione, dai tessuti a basso costo sempre più performanti, dalla totale assenza di una strategia normativa e dalla mancanza di un atteggiamento protettivo del territorio (come si fa in altri paesi come la GB), sarebbe stata la fine.
Oggi il Lanificio Leo è una bellissima realtà con 5 punti vendita in alcune zone turistiche della Calabria, compreso l’aeroporto di Lamezia Terme, con i quali si veicola il 70% della produzione. La restante percentuale è diretta nel resto della penisola e in Europa. Nel Lanificio lavorano dieci persone tra produzione e supporto per i punti vendita. Per realizzare la maglieria il Lanificio Leo usa le macchine degli anni ‘30, le torinesi Coppo diffuse nelle case fino agli anni ‘70.
Le macchine Coppo degli anni ‘30
Il coordinamento del design delle collezioni è di Emilio Leo. In alcuni casi sono coinvolti designer di fama internazionale che fanno una vera e propria esperienza del territorio: soggiornano, respirano l’aria, vivono la Calabria e regalano meravigliosi esempi di contaminazione culturale.
Plaid, coperte, stuoie, tende, l’arredo per la tavola, la maglieria, tutto raccolto in un catalogo-libro, dove il concept la fa da padrone rispetto al colore della stagione e dove storia ed eleganza senza tempo convivono: riprendere il valore delle tradizioni del territorio con prodotti durevoli, non prodotti status quo!
Il design incontra la storia della Calabria
Viviamo in un contesto sociale dove una borghesia ahimè culturalmente globalizzata preferisce spendere in prodotti massificati e brandizzati. Se i territori si svegliassero i fatturati di aziende come il Lanificio Leo potrebbero aumentare e investire.
Quel poco lontano ancora costa molto…
Che dire a Leonardo Salvatore Leo e alla sua famiglia?
Bravissimi…
Potete comprare i meravigliosi filati nel loro sito web.
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Photo Credits
Le foto in bianco e nero sono di Antonio Renda, quelle a colori sono di Alessia Musolino.
Gallery: Lanificio Leo, l’imperfezione come valore
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