Ulderico Pinfildi e il presepe napoletano ispirato a Sant’Ignazio di Loyola

L’opera dell'artista nella Chiesa del Santissimo nome di Gesù a Roma

Roma dicembre 2020, l’anno della pandemia.

Apriamo il portale della Chiesa del Santissimo nome di Gesù a Roma e varchiamo i confini dello spazio e del tempo esplorando la prima chiesa dei Gesuiti con Ulderico Pinfildi, lo scultore napoletano interprete indiscusso dell’arte presepiale contemporanea.

Abbiamo parlato due anni fa dell’arte di Ulderico Pinfildi, raccontando il suo presepe ispirato a Caravaggio, esposto nel palazzo del Pio Monte della Misericordia a Napoli, accanto ad uno dei quadri più noti: del Merisi: “Le Sette Opere della Misericordia”.

Il presepe napoletano di Ulderico Pinfildi ispirato a Sant’Ignazio di loyola

Due anni fa non c’era la pandemia, le città a dicembre erano allegre, le strade affollate da persone euforiche per l’arrivo del Natale. Oggi è il raccoglimento di un luogo sacro come la chiesa del Gesù, il messaggio potente del fondatore della Compagnia, Sant’Ignazio di Loyola, a essere di sostegno in questo momento di sofferenza e di solitudine forzata.

E all’interno della chiesa, il presepe napoletano di Ulderico, in esposizione dall’8 dicembre in uno degli altari laterali della chiesa, diventa simbolo ed esortazione a non abbandonare speranza e fiducia.

“Ignazio di Loyola fondò il suo ordine e cominciò la sua ricerca di Dio in un secolo dilaniato dalle guerre di religione.”

Ulderico Pinfildi

Dall’interno della Chiesa si chiedeva una riforma alla decadenza del papato rinascimentale e della curia, fatta di grandi mecenati ma anche di tendenze non conformi al Vangelo. La figura di Ignazio di Loyola, con la sua preoccupazione di propagare la Fede, è un simbolo potente di guida in un momento in cui siamo costretti a ripensare al nostro modo di vivere colpiti da un virus esterno.

L’opera di Sant’Ignazio, che creò un vero gruppo di missionari partiti per primi per l’evangelizzazione delle nuove terre e che propose la sua esperienza spirituale di conversione negli Esercizi Spirituali, è ispirazione in questo drammatico momento in cui, nonostante il distanziamento sociale, è più che mai importante l’agire per gli altri, fulcro dell’azione del santo.

L’ordine dei Gesuiti commissiona un presepe napoletano a Roma

Ecco perché, oggi più di ieri, il presepe napoletano di Ulderico Pinfildi con le sue allegorie e i suoi personaggi costruiti intorno alla figura di Ignazio de Loyola, diventa in una pièce teatrale destinata a stigmatizzare nel tempo il nostro bisogno di ritorno a una umanità profonda.

Quando, all’inizio del 2020 l’ordine dei Gesuiti ha chiamato Ulderico Pinfildi per realizzare un presepe napoletano nella Chiesa del Gesù a Roma, la crisi era lontana, ma chiaro era che il messaggio di Sant’Ignazio di Loyola poteva essere mirabilmente trasmesso dall’arte di un maestro del presepe.

Chiara era la meravigliosa capacità del presepe di cambiare aspetto a seconda della collocazione geografica, di trasformarsi in base al suo inserimento spazio temporale. Chiaro era anche che tutto questo poteva diventare sublime nelle mani di un grande interprete.

Ulderico Pinfildi è un raffinato artista che non limita il suo lavoro alla mera riproduzione dell’arte partenopea del ‘700. Ulderico segue il suo stile personale e, decodificando il momento in cui viviamo, utilizza l’immenso patrimonio artistico Italiano per raccontare i suoi personaggi.

Questa natività creata per l’ordine dei Gesuiti è perciò unica e universale come solo la vera arte può essere.

“Ho immaginato un presepe che si sviluppasse intorno ad un tempio con le colonne tortili come quelle presenti nella chiesa dedicata a S’Ignazio di Loyola”

Ulderico Pinfildi

Il suo presepe come sempre è diverso da tutte le altre rappresentazioni presepiali, un racconto sacro ma al di fuori di ogni attuale stereotipo.

Prendendo spunto dall’arte e dalla bellezza che ci circonda, Ulderico ha immaginato un presepe che avesse come punto centrale non le rovine di Ercolano, come la tradizione vorrebbe, ma un baldacchino dalle colonne tortili citando uno degli altari laterali della Chiesa di Sant’Ignazio a Roma e che si prestava alla rappresentazione presepiale.

Tutta l’opera si sviluppa intorno a queste colonne ritorte che ospitano la natività come un quadro nel quadro.

Al centro del baldacchino una Madonna umile, sdraiata, con il bambino in braccio, è ispirata alla natività siciliana del Caravaggio a Messina. È una Madonna stanca dal parto, terrena, umana, e un San Giuseppe inginocchiato al suo fianco in dolce contemplazione.

Sovrasta la scena una citazione del Caravaggio: una Gloria potente di angeli abbracciati e in picchiata verso la natività, che ricordano quelli del Pio Monte della Misericordia. Gli angeli portano i simboli dei gesuiti, il primo tiene in mano un cartiglio che si scioglie con il motto della Compagnia. Ad maiorem Dei gloriam” che richiama la prima lettera di san Paolo ai Corinzi “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio” (1Cor 10, 31).

“Sant’Ignazio partecipa al presepe, ne diventa attore importante a rimarcare il suo amore per la figura di Gesù, che ne ha ispirato la vita e le opere."

Ulderico Pinfildi

Protagonista del racconto è come sempre la nascita, ma il racconto si sviluppa su diversi piani. È un teatro multietnico dove alle figure tradizionali del presepe in costume napoletano si alternano figure dai tratti somatici orientali che evidenziano il lavoro di evangelizzazione della Compagnia di Gesù. I Compagni di Ignazio di Loyola andati per il mondo a portare l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.

Tutte le figure ruotano in un fermo immagine che lascia il fiato sospeso intorno alla figura del nobile basco fondatore della Compagnia. Sant’Ignazio di Loyola, con gli abiti dei gesuiti, posa la spada e s’inginocchia davanti alla natività. Come ha detto lo stesso Pinfildi: “Sant’Ignazio partecipa al presepe, ne diventa attore importante a rimarcare il suo amore per la figura di Gesù, che ne ha ispirato la vita e le opere”.

Ulderico Pinfildi costruisce il presepe come un fermo immagine

Forte è il contrasto tra l’umiltà delle vesti della Sacra famiglia con lo sfarzo degli altri personaggi. Struggente è la figura del mendicante, un nudo in torsione michelangiolesca, che dal centro del presepe in basso tende la mano alla natività come un burattinaio che tiene i fili invisibili. Adorante, drammatico, rappresenta un’umanità perduta, una misericordia da recuperare e una speranza che sempre deve accompagnare ogni nostro passo.

Come nel presepe del Caravaggio, le parti buie sono importanti quanto le luci e la scena non è zeppa come nella filosofia napoletana classica: i personaggi diventano attori che in un fermo immagine raccontano il dramma e la dolcezza di un pensiero eterno.

Nel quadro tridimensionale di Ulderico Pinfildi, i fili invisibili che intrecciano la storia dei personaggi non sono altro che l’amore descritto da Sant’Ignazio di Loyola. Un amore che consiste in una reciproca comunicazione da cui deve nascere la capacità di trovare Dio in ogni cosa. Un amore che deve porsi più negli atti che nelle parole.

"I segreti degli artisti del passato sono il mio punto di partenza."

Ulderico Pinfildi

La struttura dell’opera e la tecnica di Ulderico Pinfildi

I presepi sono realizzati con la tecnica del ‘700 e imbevuti di una profonda cultura della storia dell’arte, delle sue manifestazioni e dei suoi rimandi. I personaggi del suo presepe sono realizzati con le teste in terracotta, il manichino in filo di ferro e stoppa, gli abiti in seta e mani e piedi in legno policromo. Il mendicante, l’unica figura che non indossa abiti, è realizzato interamente in terracotta e nudo coperto solo da un umile drappo di stoffa.

Le figure del presepe dedicato a Sant’Ignazio di Loyola sono ventuno, otto angeli, due della natività, Sant’Ignazio, i tre Re Magi, tre personaggi orientali e tre figure napoletane, un uomo, una donna e una bambina in costume napoletano.

I canoni del Presepe Napoletano

Pinfildi conosce a menadito i canoni del presepe napoletano come rappresentazione della nascita di Gesù, ambientata tradizionalmente nella Napoli del ‘700. Ne conosce le evoluzioni, quando cioè, già dal 1600, non si rappresentava solo la grotta dove nasceva Gesù ma iniziava ad essere rappresentato il mondo esterno, profano, con taverne e botteghe a fare capolino con struggente verismo. Il secolo più importante è comunque il 1700, e a questo si ispira in modo particolare l’artista. Grazie alla fioritura artistica e culturale, il presepe napoletano esce dalle sagrestie e dagli ordini religiosi ed entra nelle case dei nobili e dei ricchi. Compaiono come in un’istantanea dell’epoca il mercato, il forno, l’osteria, il fiume, il ponte e il pozzo.

Il Vangelo in dialetto

Nasce così il presepe napoletano realizzato dalle abili mani degli artisti dell’epoca e destinato alle case dei nobili, ma sempre capace di parlare a tutti. I visi, le espressioni e i gesti dei personaggi prendono le sembianze della moltitudine umana del ‘700 e della pittura del ‘600. Come ha avuto modo di scrivere l’antropologo Marino Niola, infatti, “Il presepe è il Vangelo in dialetto. È la Natività di Cristo spiegata al popolo che la ripete con parole sue. E la trasforma in tradizione locale, memoria famigliare, teatro popolare. Ecco perché ogni paese ne fa la rappresentazione di sé stesso.

L’opera di Ulderico Pinfildi dedicata a Sant’Ignazio di Loyola si trova nella Chiesa del Santissimo Nome di Gesù a Roma.

Potete trovare Ulderico Pinfildi e la sua arte qui.

foto di Ugo Pons Salabelle e Claudia Frijio. Progetto a cura di Experience Italia.

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